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In epoca medievale nel continente europeo lo zafferano era coltivato soprattutto in Italia, Francia e Spagna. Quello di qualità migliore era prodotto in Toscana e in Abruzzo, qui la crococoltura trovò terreno molto fertile sino al XVI secolo.
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Altre regioni italiane nelle quali si praticava erano la Lombardia e la Puglia, sebbene in posizione di subordine, qualitativo e quantitativo, rispetto alle prime aree. Lo zafferano era “una pianta industriale capace di dare vita a ingenti margini di profitto. Un vero e proprio “oro rosso” che per tutto il basso Medioevo e la prima età moderna fu caratterizzato da un considerevole valore commerciale al punto da essere impiegato come mezzo di pagamento”. Prodotto estremamente versatile, godeva di una domanda di mercato piuttosto vasta, trovando diversi impieghi: nella tintoria per colorare i tessuti, nella cosmesi per la tintura dei capelli e per ravvivare il colorito del viso, in ambito artistico per la preparazione dei colori e del mordente per gli intonaci e per la miniatura dei codici, in campo medico e farmaceutico, nonché nella culinaria essendo ingrediente di molte ricette tardomedievali. A rendere preziosa e costosa la spezia era l’elevato quantitativo di fiori necessari per ottenerla e il valore aggiunto della lavorazione: attualmente si stima che per ottenere un chilo di zafferano siano necessari 150.000 fiori di croco, mentre nel Medioevo ce ne volevano tre o quattro volte tanto. Per quanto riguarda la Puglia, che tra XV e XVI secolo figurava tra le aree di produzione dello zafferano, l’area di maggiore produzione a livello regionale era la Terra d’Otranto.